Intervista a Davide Savelli

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Davide Savelli è nato a Forlì nel 1968. In qualità di regista e autore ha lavorato per molte reti
televisive, come Rai, La7, Fox, History Channel, LaEffe. Attualmente collabora con Rai Cultura scrivendo programmi, documentari e fiction. Tra i suoi programmi più noti ricordiamo “Storia Proibita” (La7); “La Guerra degli Italiani” (History Channel) e “a.C.d.C. – dall’homo sapiens a Napoleone”, con Alessandro Barbero, su Rai Storia.

Lo abbiamo intervistato in occasione della pubblicazione del suo romanzo intitolato “Venezia 1902, i delitti della Fenice” con Todaro Editore e di seguito trovate le sue interessanti risposte.

1. Benvenuto, Davide. Ti chiedo subito perché la scelta di ambientare il tuo romanzo nel 1902 e da dove hai tratto ispirazione per la storia
D.: Ciao, grazie per la recensione e per questa opportunità di parlare del mio libro.
Diciamo che la scelta di ambientare il romanzo nel 1902 era obbligata, perché una delle cose che volevo assolutamente raccontare era un evento realmente accaduto il 14 luglio del 1902, ovvero il crollo del campanile di San Marco, a Venezia. In effetti a me piace raccontare e ricostruire fatti storici, lo faccio da diversi anni per la televisione, attraverso i miei documentari e programmi. Quello che mi capita è che, leggendo e studiando, mi appassiono ad alcuni eventi, a volte di portata storica e a volta assolutamente marginali, quindi mi viene voglia di approfondire l’argomento, di saperne di più, e poi comincio a pensare a come divulgare quello che scopro, con quale formula, quale linguaggio e così via. In tutta onestà non so dirvi precisamente cosa mi ha spinto a innestare su questo evento storico un racconto noir, forse avevo voglia di provare una strada differente dal documentario o dal programma di approfondimento televisivo, e l’idea di lavorare a una storia di pura finzione, che potesse intrecciarsi al racconto propriamente storico mi sembrava una sfida stimolante. E il noir è un genere che mi piace e che mi sembrava potesse amalgamarsi bene all’evento del crollo.

2. I protagonisti del tuo libro sembrano essere vittime e prigioniere di un passato che non riescono a debellare e di cui non riescono ad avere ragione. A tuo parere questo atteggiamento potrebbe essere riscontrato anche nei contemporanei o appartiene a una sorta di educazione “antica” ormai superata in un mondo del tutto cambiato?
D.: Io credo che ciascuno di noi, e intendo in qualsiasi epoca, sia “abitato” da dubbi, rimpianti, nodi irrisolti che riguardano il proprio passato. Una vita “perfetta”, senza errori, inciampi, ferite e dolori di vario genere, sarebbe una vita priva di esperienza, una “non vita”, per come la vedo io. E penso che sia una regola valida ieri come domani.

3. A parte la storia personale, che tipo di assassino è quello del tuo romanzo, qualcuno avrebbe potuto salvarlo e quindi fermarlo o era già destinato a commettere il male?
D.: Personalmente tendo ad escludere che esista una forma di male, o di bene, assoluta e primigenia. Come dicevo prima, sono le esperienze che la sorte ti porta a vivere a formarti, nel bene e nel male. Hans, il protagonista che nel mio libro uccide, è in primo luogo una vittima, da bambino ha assistito, impotente, alla morte violenta del padre, e da quel momento la sua infanzia è cambiata, in modo tragico e irreparabile.

4. E a proposito della fragilità dell’essere umano, non hai avuto timore che calcando la mano su questo aspetto il tuo romanzo avrebbe perso molto della tensione tipica del giallo?
D.: Io penso che il libro non sia un vero giallo. Non c’è un assassino da scoprire. C’è una storia che si dipana con un ritmo piuttosto frenetico, dettato dall’agonia del campanile di San Marco, che impiega qualche giorno prima di crollare. Durante questo breve lasso di tempo, dilatato attraverso alcuni flashback, ho cercato di dare spessore ai protagonisti, lavorando sulle loro fragilità, i loro incubi e le loro ossessioni. Ci sono naturalmente molti dubbi che si intrecciano durante il racconto e che si risolveranno solo alla fine, penso a quelli sul progetto di Hans, sul passato di Guido, sul futuro della relazione tra Tiziana e il commissario, sulla sorte stessa del campanile e dei presunti responsabili della catastrofe, insomma credo che la tensione non manchi, pur non essendo quella tipica del genere giallo in senso stretto.

5. La Venezia che tu racconti è tanto incantevole quanto oscura e pericolosa. Quanto ti ha affascinato poter raccontare al lettore questa dicotomia?
D.: Tantissimo. Più studiavo e più mi immergevo con l’immaginazione in una città, unica e meravigliosa, che precipitava nella quasi oscurità al calar della sera – perché nel 1902 non c’era ancora l’illuminazione elettrica a Venezia, e anche quella a gas raggiungeva solo alcune sue zone – e poi tentavo di rivivere la tensione che aleggiava tra coloro che con l’arrivo del nuovo secolo sognavano per la città un futuro “diverso”, un futuro industriale che la affrancasse dal suo glorioso ma pesantissimo passato, e chi non ne voleva sapere. Era una tensione fortissima che si riverberava non solo tra gli intellettuali, divisi tra passatisti e futuristi, ma anche nei circoli imprenditoriali, tra chi voleva costruire e innovare e chi invece difendeva strenuamente la linea del “conservare”, e infine anche tra la povera gente, che sperava di veder migliorate le proprie condizioni di vita, perché va ricordato che a Venezia nei primi del ‘900 si moriva di tifo e colera, e in particolare il tasso di mortalità infantile era elevatissimo, i dati dell’epoca dicono che nel 1901 su quattromila nati, circa seicento non sopravvivevano oltre il primo anno di vita.

6. Guido Bordin è un personaggio unico e meraviglioso come non se ne vedevano nella narrativa italiana dai tempi di Gadda. È lui il tuo personaggio preferito di Venezia 1902 o ami anche qualcun altro dei protagonisti della tua storia?
D.: Grazie ma non esageriamo, lo dico sinceramente. Gadda è un gigante della letteratura che ha scritto cose eccelse, io sono un minuscolo artigiano della penna che ha prodotto un piccolo libro noir, mai mi sognerei di avvicinarmi, neanche lontanamente, a personaggi di quello spessore.
Per quanto riguarda i protagonisti del libro, secondo me ce ne sono tre: il primo è il campanile di San Marco, perché anche se è la Storia, quella con la S maiuscola, a fare da spoiler rivelandoci che la sua sorte è segnata, sfido chiunque a non sperare fino all’ultimo che il vecchio “Paròn de casa”, come lo chiamano a Venezia, non ce la faccia a restare in piedi; poi c’è Bordin, che essendo il commissario incaricato di condurre l’inchiesta è certamente il personaggio nel quale tutti tendiamo un po’ a immedesimarci; infine c’è anche Hans Pfenner, perché accanto alla sua spietata follia c’è qualcosa di molto umano e profondo, che può generare una qualche forma di empatia. Insomma, penso che siano i lettori a dover scegliere.

7. Tu scrivi come autore e regista, e lo fai da parecchio, anche se questo è il tuo primo romanzo in assoluto. Come mai così tanto tempo per deciderti a pubblicare un libro?
D.: Io ho iniziato scrivendo per i giornali, per la radio e poi per la tv. Credo che sia più facile per uno scrittore passare agli altri media che viceversa. Non è solo una questione di forma ma anche di metodo, e di tempo. Ho scritto tantissimo, a volte in modo frenetico e velocissimo, perché i tempi di “messa in onda” lo imponevano, e comunque sempre finalizzato a uno scopo, a un prodotto da chiudere, confezionare e trasmettere. Quindi, un po’ per pudore, per insicurezza, forse per sudditanza, e anche per mancanza di tempo, non avevo mai deciso di cimentarmi nella scrittura di un romanzo. Poi è successo qualcosa, la nascita della mia secondogenita, Malvina, ha dilatato tutti i quei tempi che oramai erano consolidati, e mi sono ritrovato a scrivere in piena notte, con la voglia di fare qualcosa di diverso, di più libero e quindi gratificante, insomma la sfida di cui parlavo all’inizio dell’intervista. E aggiungo che è stato bellissimo e divertentissimo, al punto che non mi sono fermato, ho scritto anche un libro per ragazzi, a quattro mani con il mio primogenito undicenne, Ernesto, un’esperienza bellissima che ci porteremo dentro per sempre, e iniziato un altro romanzo, questa volta non un giallo, ambientato in Medio Oriente all’inizio degli anni ’90, perché in una vita precedente ho vissuto in Giordania, ma è un’altra storia che spero di poterti raccontare in una prossima occasione…

8. Se dovessi racchiudere in una sola frase del libro tutto Venezia 1902 quale sceglieresti e perché?
D.: Direi la frase di Tiziana, personaggio femminile del romanzo, che si rivolge a Guido per dirgli che è disposta a cambiare vita, senza rimpianti, dicendogli: “le situazioni si modificano. Le persone si trasformano. Io non voglio essere per sempre la stessa.” Che detta così forse può sembrare una frase poco significativa, ma che invece, nel libro, il lettore ritroverà in varie declinazioni più volte, da quella in latino, “semper eadem”, che tanta importanza avrà nel racconto, a quella dello slogan con cui si annuncerà la ricostruzione del campanile: “com’era dov’era”, e faccio notare, se non è balzato già agli occhi, che è lo stesso slogan usato per Notre Dame, ma anche per il Ponte Morandi… insomma, c’è anche un po’ di presente da ritrovare in Venezia 1902…

Intervista a cura di Antonia Del Sambro